Ag2r Citroën, per Bob Jungels la fine di un incubo chiamato endofibrosi: “Due anni mentalmente molto difficili”
Bob Jungels racconta le difficoltà vissute negli ultimi due anni, tanto fisiche quanto menali. Succede infatti che dopo sette anni di professionismo, dopo esser sempre stato un vincente, dopo aver vinta una classica monumento, all’improvviso sei l’ultimo dell’gruppo, quello che viene seguito solo dalle ambulanze e dalla macchina del fine corsa. É quanto stava accadendo al corridore lussemburghese, che negli ultimi due anni ha visto la proprio carriera tramontare pericolosamente. Assieme ad essa anche la sua psiche e la sua salute, inghiottite da un incubo che sembrava non avere fine, senza riuscire a comprendere cosa stava succedendo.
Intervistato da Cyclingnews, il corridore della Ag2r Citroën ha raccontato per filo e per segno il motivo del suo tracollo vertiginoso dovuto all’endofibrosi iliaca, patologia che gli è stata diagnosticata nel mese di giugno, a distanza di due anni dai primi sintomi, grazie all’intuizione del suo direttore sportivo Nicolas Guille. La malattia che ha colpito anche Fabio Aru nel corso della sua carriera sembra essere sempre più frequente tra i corridori e nel caso di Jungels si è risolta con una operazione ad entrambe le gambe nel mese di luglio: “Sono stato operato appena una settimana dopo la diagnosi. É stato un periodo difficile perché avevo i campionati nazionali, il Tour e le Olimpiadi in arrivo, ma mi sono detto che non avrei potuto correre con la consapevolezza di essere solo al 70-80% delle mie possibilità. Desideravo soltanto che l’operazione venisse eseguita il prima possibile.”
Un’operazione che gli ha dato quella serenità che aveva perso nel lungo periodo di incertezza e domande senza risposte, in cui ha sofferto anche di insonnia: “Negli ultimi due anni ho avuto molti problemi legati al sonno e penso che derivi da questo perché inconsciamente sapevo che qualcosa non funzionava – racconta il lussemburghese – A volte era terribile. Non riuscivo proprio a dormire, continuavo a pensare”. Con la consapevolezza di aver trovato la soluzione, ha ritrovato in sé anche la voglia di andare in bici dopo, perduta nelle difficoltà: “Ci sono stati periodi in cui non ero felice di andare in bici. Al Giro di Svizzera c’era una partenza in salita… inizi la corsa già sapendo che verrai staccato. É la peggiore sensazione al mondo. Per uno come me che è sempre stato abituato a lottare per la vittoria è stato degradante”.
Il 2021 poteva essere un anno d’inferno invece si è trasformato in una specie di nuovo inizio, seppur lento e con alcuni passi ancora da compiere. Dopo l’operazione ed un adeguato periodo di riposo trascorso con gli affetti più cari, il vincitore della Liegi 2018 è tuttavia risalito in sella a metà settembre al Giro di Lussemburgo, nel suo paese, terminando in 80ª posizione. Un numero che, anche se alto, questa volta sa di vittoria perché il dolore è sparito.
“Quando ho ricevuto la diagnosi è stato onestamente un grande sollievo, anche se si trattava di un infortunio abbastanza grave – spiega – Ma era una risposta a così tante domande”. Per questo dopo “aver affrontato momenti molto bui” in questi “due anni mentalmente molto difficili”, ora è felice di poter tornare a “vedere la possibilità di vincere grandi corse“.
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